Spingitori e cappellai – Il Fatto Quotidiano

 

A leggere i giornaloni italiani ed esteri, domani Montecitorio potrebbe restare tranquillamente chiuso e risparmiarsi i lavori del seggio-parcheggio per i grandi elettori positivi al Covid: tanto al Quirinale è già stato eletto Mario Draghi col 101% dei voti. È un nuovo sistema elettorale perfettamente in linea con i tempi che corrono: l’elezione per acclamazione, riservata non più ai rappresentanti del popolo, ma a quelli del mestiere più antico del mondo (il giornalismo: che avevate capito?). Un sistema che presenta l’indubbio vantaggio della rapidità e anche del risparmio di carta (al posto delle schede, le lingue). Purtroppo, salvo Dpcm dell’ultim’ora, si sono scordati di brevettarlo e toccherà fare come le altre volte: con quelle barbose procedure chiamate Costituzione, Parlamento e Democrazia Rappresentativa. La situazione, a ieri sera, è la seguente.

Gli spingitori. Draghi al Quirinale lo spingono più all’estero che in Italia, anche perché accade solo in Italia che per nominare il premier o addirittura il capo dello Stato (italiano) si chieda il permesso all’estero. In tutti i sondaggi, due terzi degli italiani non vogliono che il premier diventi capo dello Stato: sia perché doveva portarci fuori dalla pandemia e abbiamo 3-400 morti al giorno, norme-barzelletta come il Dpcm sui tamponi all’edicola, e alle Poste per la pensione e al supermercato per lo shopping con rastrellamenti della forza pubblica cassa per cassa, norme già fallite come il Green pass anti-contagi e l’obbligo vaccinale per gli over 50 (ne ha convinto appena 1 su 10 e dal 1° febbraio gli altri 9 stanno a casa); sia perché questo governo-ammucchiata è nato su misura di Draghi e non c’è nessun clone che possa tenerlo in piedi al posto suo. Non lo vogliono neanche i costituzionalisti con la testa sul collo, perché non s’è mai visto un premier che trasloca al Colle e continua a governare di lì per interposto prestanome: quello si chiamerebbe presidenzialismo se avessimo i contrappesi previsti di regimi presidenziali (negli Usa il presidente può avere contro una delle due Camere, o anche entrambe), invece non li abbiamo e quindi si chiamerebbe monarchia assoluta. Quanto ai big della politica, la resa anticipata al banchiere è stata finora sventata dai no di Conte, Salvini e Meloni (che avrebbe votato Draghi in cambio delle elezioni, ma ora ha capito che non avrà neppure quelle, mentre con lui sul Colle dovrà compiere 120 anni per fare il premier se vince le elezioni). Al momento gli unici a volere Draghi sono Gianni Letta (che non è parlamentare), Enrico Letta (che non può dirlo perché mezzo Pd non lo vuole) e il duo Toti-Brugnaro (che non sono big).

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Perciò gli spingitori di Draghi nei giornaloni ripetono a mantra che sono tutti per lui e lui è già al Colle: per convincerli che è così e non può che esserlo, puntando sulla rassegnazione dei peones e sullo sport nazionale del salto sul carro del vincitore. E non è detto che, in caso di stallo permanente, a furia di fumate nere, la maxi-balla non si autoavveri. Ora come ora gli spingitori sono così mal messi che il Corriere deve titolare: “Il premier in testa alle preferenze. Il 62% vorrebbe una donna”, dal che si deduce che Draghi è un ermafrodito, come le cernie, le ostriche piatte e le cappesante.
I quirinabili. Siccome, per la prima volta nella storia, non esiste una maggioranza né di centrodestra né di centrosinistra, ha più chance chi non appartiene a nessuno dei due (tipo Draghi, ma anche personalità meno ingombranti come Belloni o Severino o figure simili) o chi appartiene a entrambi (tipo Casini). E, fra questi, chi ha la fortuna di non essere nominato (nel senso del Grande Fratello: bruciato) da nessun capo-partito. In questa fase, chi meno parla più conta. E non è detto che queste procedure carbonare si rivelino, a conti fatti, una disgrazia: persino Berlusconi potrebbe rendersi utile alla democrazia, ovviamente a sua insaputa, se per ripicca o gelosia, dopo aver contribuito a liberarci del penultimo aspirante padrone (Renzi) e rinunciato a diventarlo lui, sbarrasse sul serio la strada pure all’ultimo (Draghi).
I cappellai. C’è chi dice che tra i supporter di Draghi ci siano anche Renzi e Di Maio. È vero, ma la questione è più complessa. I due ambiscono a intestarsi a posteriori chiunque venga eletto, mettendo il cappello a priori su qualunque candidato leggano sui giornali. Il primo, meno furbo, lo fa con tre-quattro interviste al giorno in cui promuove tutti e non boccia nessuno: così, dopo, farà il solito giochino della mosca cocchiera o della pulce con la tosse (“Ho vinto io! Ho fatto tutto io! È mio!”). Il secondo, più furbo, non dice nulla e incontra tutti: oltre a Draghi, ha visto o sentito Casini, Moratti, Giorgetti, Casellati, Brugnaro, Amato, Riccardi, Confalonieri, Letta sr. e jr.. Secondo il Corriere, è “pronto ad avallare qualunque soluzione risulti vincente” e “pur di restare alla Farnesina, si è promesso a tutti, affiancando addirittura un proprio sherpa a ogni candidato”. Quanto conti il suo apporto non si sa: i suoi fedelissimi in Parlamento non superano la ventina, ma sui giornaloni lievitano prodigiosamente ora a 70 ora a 100 (si attendono i dati della Questura), come i carri armati di Mussolini. E, siccome i candidati ogni tanto si parlano, capita che uno si vanti con l’altro di avere l’appoggio di Di Maio e si senta rispondere: “Ma lo sai che anch’io?”.

Sorgente: Spingitori e cappellai – Il Fatto Quotidiano

One Reply to “Spingitori e cappellai – Il Fatto Quotidiano”

  1. Caro @GiuseppeConteIT, Belloni sarebbe perfetta come Presidente. Ma consiglio di non farlo capire ai destri che al #M5S piace, altrimenti non la voterebbero solo per questo! Scrivetelo invece da un Notaio e mostratevi scettici! Quando Salvini e Meloni si tronfieranno per il loro successo, andrete da Vespa e aprirete la busta!
    Sai che risate!🤓

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