L’altro giorno, nella rubrica La Jena sulla Stampa, Riccardo Barenghi domandava: “Quando finirà la guerra si potrà criticare anche Zelensky?”. La guerra purtroppo non è finita, ma qualcuno che lo critichi s’è già trovato: il governo israeliano, dopo il suo discorso alla Knesset. Il copione è sempre lo stesso: Zelensky paragona l’invasione russa dell’Ucraina all’evento più luttuoso del Paese ospitante, poi lo rimprovera di non mandare abbastanza armi e di non volere la No-fly zone, cioè di non scatenare la terza guerra mondiale. Al Congresso Usa, Zelensky ha evocato Pearl Harbor (2403 morti) e l’11 Settembre (2996 morti). Al Bundestag il nazismo e il Muro di Berlino. Alla Knesset nientemeno che la Shoah: “Putin cerca la soluzione finale esattamente come è accaduto 80 anni fa al popolo ebraico con i nazisti” (6 milioni di morti). E pure la Diaspora bimillenaria degli ebrei: “I nostri cittadini sono sparpagliati in tutto il mondo come gli ebrei”. Poi ha strigliato il governo Bennett per renitenza alle armi e alle sanzioni (infatti Bennett si propone come mediatore). Lo scivolone è tanto più imperdonabile per un ebreo come lui, che dovrebbe essere il primo a conoscere l’unicità storica della Shoah. Il ministro delle Comunicazioni Yoaz Hendel ha definito “scandaloso il confronto con gli orrori dell’Olocausto” e gli ha rammentato la storia del suo Paese, che “non può essere orgoglioso della sua condotta di fronte all’Olocausto: molti aiutarono i nazisti a rastrellare e sterminare gli ebrei e saccheggiare le loro proprietà”. Forse a Zelensky non hanno giovato certe vecchie battute (“Il fatto che io sia ebreo è appena al ventesimo posto nella mia lunga lista di difetti”) e la notizia che ha appena decorato come “Eroe dell’Ucraina” il comandante del nazi-battaglione Azov.
Ci attendevamo che lo storico Paolo Mieli, fra i custodi più occhiuti dell’unicità della Shoah, notasse la contraddizione con la stessa grinta con cui denuncia il panciafichismo dei “pacifisti ipocriti”. Invece nemmeno un sospiro. E nessun titolone sui giornaloni. E neppure un trafiletto sul bavaglio imposto da Zelensky alle tv ucraine (ridotte a un solo canale a reti unificate) e a 11 partiti (tra cui il principale di opposizione): misure draconiane che in guerra si possono forse capire, ma non nascondere. Oggi ci auguriamo che Zelensky venga accolto dal Parlamento italiano col rispetto e l’affetto che merita il coraggioso presidente di un Paese aggredito che resta al comando pur potendo arrendersi o fuggire (come gli aveva proposto non l’invincibile armata dei “né né” italo-putiniani, ma Biden). Ma l’amicizia non va confusa col tifo da stadio: la cosa migliore da fare con un amico, quando si pensa che sbagli, è dirglielo.
Sorgente: Ci vorrebbe un amico – Il Fatto Quotidiano
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