Nuovi inquietanti sviluppi sulla missione russa sbarcata in Italia nel marzo 2020 per spiarci fingendo di aiutarci contro il Covid. Dopo un centinaio di articoli in cui i segugi di Stampubblica e Corriere non riuscivano a indicare un solo obiettivo spiato, Rep scova un testimone anonimo in un’Rsa: “Chiesero tamponi da esaminare nel loro laboratorio, ma i nostri militari mi dissero di impedirlo”. Purtroppo i tamponi non c’erano, a parte quelli portati dai russi, e ora i familiari delle vittime vorrebbero sapere chi è il genio militare (e criminale) che disse loro di tenerseli, moltiplicando i contagiati e i morti (come se non facessero già abbastanza Gallera e Fontana). Il Corriere aggiunge orrore all’orrore: i russi spiarono “il Dna di un russo ammalatosi di Covid in Italia” per “elaborare il vaccino Sputnik” (la Russia era piena di russi contagiati, ma preferiva quelli di Bergamo perché c’è l’aria buona); e puntavano alle “basi dell’aeronautica militare di Ghedi in Lombardia e di Amendola in Puglia”, infatti volevano “sanificare un’area del Bresciano” e poi “spostarsi in Puglia perché – questa fu la tesi – è la terra di San Nicola, venerato anche dagli ortodossi”, ma furono sgamati e rimpatriati dai nostri. Resta da capire come potrebbe mai una delegazione ufficiale russa tallonata da soldati italiani spiare due basi militari senza entrarci, ma fingendo di pregare San Nicola, quando siamo pieni di spie russe (e non solo) che girano sconosciute e insospettate.
E non è finita. Siccome la spy story ai casoncelli e alle orecchiette langue un po’, eccone un’altra all’Istituto Spallanzani di Roma, eccellenza dell’infettivologia nazionale e ora covo di spie e quinte colonne putiniane. Un anno fa i putribondi scienziati, in combutta con la giunta Zingaretti, osarono siglare col centro Gamaleya di Mosca un “Memorandum d’intesa per collaborazione scientifica e scambio di materiali e conoscenze” sul Covid: cioè fare ricerca, come tutti gl’istituti del mondo, per unire forze ed esperienze contro il virus. Ma era una copertura: il Corriere insinua che “le sei ricercatrici russe abbiano carpito informazioni riservate”. Quali? Boh. Del resto La Stampa scopre che “tre russe furono rimpiazzate da altre tre ricercatrici, diverse” (testuale), quindi gatta ci cova: “Forse i risultati iniziali non erano piaciuti?” (ah saperlo, qualunque cosa significhi). Spallanzani e Regione pensavano financo di usare Sputnik, che Lancet ha poi accertato funzionare come Astrazeneca e quasi quanto Pfizer. Ma s’erano scordati di chiedere il permesso ai giornaloni. Sennò gli scienziati italiani l’avrebbero capito subito che non si parla di scienza con gli scienziati russi un anno prima che Putin invada l’Ucraina.
Giornaloni, non toccate Conte al direttore che poi vi sommerge con le solite pernacchie.
Come esporsi al pubblico ludibrio senza provare vetgogna, chiaro indizio di turbe mentale, snche detta servilismo, disturbo purtroppo assai diffuso