Johnny’s List

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Avete presente il sedicente giornalista che insegna giornalismo alla Luiss senza sapere cosa sia la punteggiatura? Sì, quello che il Pulitzer americano Glenn Greenwald definì “l’opposto del giornalismo”. Quello che ignora l’articolo 1 della Costituzione (figuriamoci gli altri 138). Quello che definì gli scoop mondiali di Wikileaks “raid di spionaggio, intelligence e cyberwar russa”, tutto giulivo per l’arresto di Assange. Quello che fa l’acchiappafantasmi anti-fake news e intanto spara che “la Corte Suprema russa concede alla polizia di sequestrare i cellulari a chiunque, russo o no, se posta sui social critiche al governo Putin” (poi si scopre che la sentenza riguarda i terroristi, non i critici di Putin). Quello che è riuscito a distruggere due testate scampate anche alla peste e al colera, Sole 24 Ore e Tg1, prima che smettessero di scambiarlo per un direttore. Quello che su Rep compila una lista di proscrizione di “Putinversteher” (qualunque cosa voglia dire) millantando di averla tratta da uno “studio della Columbia University”, poi si scopre che non era uno studio, non era della Columbia University, non parlava di Putinversteher e non conteneva la lista. Quello che poi ci ha infilato pure Zagrebelsky. Quello che Cacciari, quando è in buona, chiama “coglione”. Ecco, sì: Johnny Riotta.

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L’altroieri a La7 il noto sfollagente è riuscito a strappare qualche minuto in prima serata (di solito lo relegano più opportunamente all’albeggiare), ha insultato Barbara Spinelli e s’è vantato di averla infilata nella lista perché aveva scritto sul Fatto “che del massacro di Bucha non ci sono prove”. Peccato che Barbara, il 6 aprile, abbia chiesto semplicemente “prove genuine” e “meno imprecise”: le stesse cose che in quei giorni diceva non Putin, ma il Dipartimento di Stato Usa e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan. E peccato, soprattutto, che la lista di Johnny sia del 3 marzo e la strage sia stata scoperta il 2 aprile. Ergo la seconda non può aver causato la prima per la contradizion che nol consente. Ma credete che Johnny Lecchino si fermi dinanzi a una banale consecutio temporum? Non lo arresta neppure il ridicolo. Infatti, quando Alessandro Di Battista ricorda che la sua lista uscì un mese prima della strage e Giovanni Floris conferma, balbetta testuale: “Ci sono arrivato prima”. Cioè: il 2 marzo, quando compilò la lista, il Divino Otelma della geopolitica, il Giucas Casella dell’atlantismo già sapeva che di lì a poco i russi avrebbero occupato Bucha e poi se ne sarebbero andati con una scia di cadaveri. E lo dice tutto giulivo per l’ennesima figura di Riotta, già proiettato sulla successiva: “Il Fatto è putiniano! Lo dice Furio Colombo!”. Enzo Biagi invece diceva: “Troppi peli per un coglione solo”.

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