Il 41% degli italiani è senza diploma, 5 milioni lasciano l’università – Il Fatto Quotidiano

Quasi quattro milioni di italiani si sono iscritti alle scuole superiori ma poi hanno abbandonato gli studi. Altri cinque milioni hanno iniziato a frequentare l’università ma poi non si sono laureati. Poco meno di dodici milioni non ha mai neanche cominciato un percorso di istruzione secondaria. I dati dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), diffusi ieri come anticipazione del Rapporto Plus 2022, suggeriscono come il mondo della scuola in Italia abbia anche altre priorità rispetto a quelle che emergono dalle dichiarazioni del ministro Giuseppe Valditara. Ancora oggi, infatti, quattro italiani su dieci tra i 18 e i 74 anni hanno raggiunto al massimo la licenza media. Parliamo di quasi 17,7 milioni di individui, il 41% del Paese. Altri 17,9 milioni hanno raggiunto il diplom. Il 42% della popolazione. I laureati sono invece 6,1 milioni – il 14% – mentre solo il 3% possiede titoli superiori alla laurea come master e dottorati di ricerca.

Emerge anche il progressivo invecchiamento della forza lavoro: gli occupati over 50 sono il triplo di quelli under 30, visto che tra questi ultimi solo uno su cinque ha avuto un’occupazione (considerando però che metà è impegnata ancora negli studi). “I numeri mostrano da un lato l’incapacità del sistema formativo di trattenere fino al compimento degli studi coloro che li hanno intrapresi, e d’altro lato le debolezze e le incertezze di coloro che decidono di abbandonare i percorsi iniziati – spiega il presidente Inapp, Sebastiano Fadda – . Entrambi i fenomeni richiedono interventi specifici perché nuocciono all’accumulazione del capitale umano necessario a spingere verso l’alto il livello di qualificazione della forza lavoro, dell’inclusione e della coesione sociale”.

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Vogliamo gli ammiragli – Il Fatto Quotidiano

Eniente: siccome ormai i generali sono molto più pacifisti dei politici e della stampa al seguito, le Sturmtruppen si sono giocate pure il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. Che ieri ha rilasciato una bella intervista a Marco Menduni per la Stampa, che – in bocca a un altro – sarebbe subito liquidata come propaganda del partito putiniano, o “pacifinto” o “della resa”. Sapendo cos’è la guerra e cosa rischiamo con la folle escalation, mentre già si sdoganano caccia e missili a lunga gittata e magari prossimamente truppe e testate nucleari, l’alto ufficiale mette in fila i fatti. Gli stessi che il suo ex collega Mini certifica da un anno sul Fatto e il suo omologo americano Milley ripete da mesi: la Russia non può (o forse – aggiungiamo noi – non ha mai voluto) prendersi l’intera Ucraina e l’Ucraina non può riprendersi i territori invasi dalla Russia. “Questo è un dato che rimane costante nel tempo. Non esiste una soluzione militare”. Di qui dovrebbe partire ogni scelta politica, non dal mantra ovvio e moralistico “c’è un aggressore e un aggredito”, che andava bene un anno fa e ora, dopo 300 mila morti, 10 milioni di profughi, la devastazione fisica di mezza Ucraina ed economica (e anche etica) di tutta Europa, lascia il tempo che trova.

Se fosse realistica l’idea che, inviando armi sempre più devastanti, Kiev riconquisterà i territori perduti, l’opzione dei bellicisti – per quanto spregevole per chi ritiene sacra ogni vita umana, oltreché la Costituzione – avrebbe almeno un senso. Ma tutti gli esperti veri lo negano. La controffensiva ucraina di settembre è durata poco e ha recuperato minime porzioni delle quattro regioni annesse dai russi a Est e a Sud. E ora Kiev paventa una contro-controffensiva russa con 300 o 500 mila uomini. Dice Cavo Dragone: “Non possiamo permetterci un altro conflitto ‘congelato’ nel cuore dell’Europa”. Serve “una riflessione sul dopo”: non sul ripristino dello status quo ante 2022, ma “sul mondo nuovo che verrà, diverso da quello che era prima dell’invasione. Non ci sono alternative a superare le macerie e il dolore”, per evitarne altri. E per disegnare un futuro di sicurezza per Kiev, ma anche per Mosca e gli altri Stati dell’Est Europa, urge in Occidente “un esame di coscienza” per capire se si fece di tutto per evitare l’invasione di Putin: “Ci sono stati elementi di instabilità che non abbiamo colto prima del 24 febbraio?”. Si poteva fare di più “nel proporre dialogo e inclusione?”. Ora ogni iniziativa negoziale va colta al volo, anche quella cinese: “Non dobbiamo trascurare nulla”. E la domanda è: ma Meloni, Mattarella&C. chi ascoltano prima di decidere se, oltre al Parlamento, ignorano anche il capo di Stato maggiore della Difesa?

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