Schlein: doppia sconfitta

No al nome nel simbolo e no alla pluricandidatura

Sceglie la diretta Instagram Elly Schlein per dire che alla fine no, il suo nome nel simbolo non lo metterà. Perché si tratta di una proposta “più divisiva che rafforzativa”. E che darà il suo contributo “correndo con la squadra”. Eppure, subito dopo dal Nazareno precisano che è sfumato anche il piano B della segretaria, messo sul tavolo con il piglio dell’ultimatum: la candidatura in tutte le circoscrizioni. Alla fine, Schlein sarà capolista solo al Centro e nelle Isole. Il dietrofront rispetto alla direzione solo del giorno prima appare non solo una scelta contingente, ma una resa dalla portata più ampia. Perché Schlein accarezzava l’idea di candidarsi dovunque da mesi, prima come capolista ovunque, poi come terza. Nel partito le hanno detto di no, che avrebbe danneggiato le donne prima di tutto. E allora lei aveva cercato un altro modo per dare il suo “contributo” alle Europee, ma anche per trasformare il partito. Ovvero, per sfondare a sinistra, per aprire alla società civile e al movimentismo, per marginalizzare i riformisti. Seguendo poi quello che era il mandato dei gazebo. Un’operazione simile, seppure speculare, a quella che aveva cercato di fare Matteo Renzi, anche lui seguendo il mandato delle primarie: lui voleva rottamarlo il Pd, sfondando al centro e a destra, trasformandolo nel Partito della Nazione. Alla fine tra il Pd e Renzi ha vinto il Pd. Come ieri, tra il Pd e Schlein.

 

Il partito in blocco le ha detto no, l’ha messa in minoranza con una sequela di interventi in direzione e con una serie di silenzi. Di fatto, la segretaria non aveva scelta. “Si è aperta una discussione in direzione e anche fuori”, ha spiegato ieri. Romano Prodi l’ha bombardata per la scelta di candidarsi, Dario Franceschini la sua contrarietà gliel’ha fatta arrivare direttamente, gli orlandiani erano sul piede di guerra, gli ex Articolo 1 non solo non condividevano la scelta, ma anche il fatto che non l’avesse condivisa. Tanto è vero che Pier Luigi Bersani ha definito “una scelta saggia” il no al nome del simbolo.

Ieri mattina, la segretaria si è consultata con la sua cerchia più stretta. C’è chi le ha fatto notare l’impatto negativo che avrebbe avuto il dietrofront. D’altra parte, “adesso se lei ci fa ‘buh’ noi mica ci crediamo”, scherzava ieri un dirigente. Ma lei ha provato l’ennesima mediazione. Come nella composizione delle liste. Nella sua maggioranza le rimproverano il fatto che appaiono piene di big della minoranza (da Antonio Decaro a Giorgio Gori), ma soprattutto non va giù la scelta di Lello Topo al Sud, campione di preferenze in quota De Luca, segno di un accordo con il presidente della Campania.

La pietra tombale sull’idea che Schlein potesse correre ovunque la dà la giornalista Lucia Annunziata, capolista al Sud, a fine mattinata, che rende noto un messaggio inviato alla segretaria. Dicendosi, in “completo disaccordo” sull’operazione perché “il nome nel simbolo è la trasformazione del Pd in un partito personale”, le ricorda: “Come sempre, il mio nome in lista è a tua disposizione”. Un modo per farle capire che – di fronte all’inserimento di Schlein anche nella sua lista – tutto era possibile: anche il ritiro della candidatura. La presenza della segretaria sarebbe andata a mettere in pericolo proprio l’elezione delle sue capolista. E lei non può permettersi di farsi smontare liste faticosamente costruite e pure votate in direzione.

Va notato che Schlein prova a scaricare parte della responsabilità su “chi ha fatto la proposta” del nome. Ovvero Stefano Bonaccini, con il quale evidentemente pensava di avere un accordo di ferro, che almeno le garantisse la minoranza. Ciò che è accaduto, invece, è che pure Bonaccini ha perso la sua corrente. “Faccio il presidente del Pd ed è mio compito portare in direzione la proposta uscita in larga maggioranza dalla segreteria”, prova a metterla così lui a Otto e mezzo. Ma poi chiarisce che il dietrofront è stato una scelta giusta: “Se dobbiamo riconoscere un errore, è stata una proposta portata troppo tardi”. Mentre smentisce “categoricamente” che Schlein abbia detto “o nome nel simbolo o candidatura da tutte le parti”. Eppure, in queste ore, era proprio la motivazione che dava a chi aveva da ridire sull’accordo sul logo elettorale. Per dirla con Lorenza Bonaccorsi, presidente del I Municipio, da sempre vicina a Paolo Gentiloni: “Dopo mezzora di diretta Instagram sulla vicenda del simbolo non si sa se ha fatto più brutta figura Schlein oppure Bonaccini”.

 

Sorgente ↣ : Schlein, doppia sconfitta: no al nome nel simbolo e no alla pluricandidatura – Il Fatto Quotidiano

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