L’editoriale di Marco Travaglio
Premier lingue
Se non ci fosse da tremare per il combinato disposto fra premierato, autonomia e schiforma della magistratura, ci sarebbe da scompisciarsi. Due partiti con l’Italia nel logo, FdI e FI, la polverizzano in 21 staterelli, ciascuno con le sue regole, per far contento un partito estinto che non era riuscito nell’impresa neppure quando veleggiava sul 40%. Poi, se un deputato 5S gli mostra il tricolore, reagiscono come il toro al drappo rosso: caricando a testa bassa. E i loro lecchini sono talmente idioti da dire (e forse addirittura pensare) che con l’elezione diretta del premier “basta governi tecnici, altolà ai ribaltoni, istituzioni più stabili”. Quattro balle al prezzo di una. Voteremo su tre schede: una per il premier, una per la Camera, una per il Senato. Quindi potrebbe essere eletto un premier senza maggioranza in una o in entrambe le Camere: bella stabilità. Quel rischio si evita solo con una legge elettorale che assegni la maggioranza parlamentare a chi arriva primo, senza un tetto minimo: tipo l’Italicum, che dava il 55% dei seggi al primo partito anche col 20% dei voti. Ma la Consulta lo bocciò: il premio senza soglia è incostituzionale. E i ribaltoni, cioè i cambi di maggioranza in corso di legislatura, previsti ogni democrazia parlamentare? Per limitarli servirebbe la sfiducia costruttiva tedesca o spagnola: il governo può cadere per far posto a un altro solo se c’è una maggioranza alternativa, sennò si torna alle urne. Ma nel premierato non c’è e i ribaltoni restano possibilissimi.
Il premier sfiduciato può chiedere e ottenere dal Quirinale lo scioglimento delle Camere, o tentare un reincarico, o ancora passare la mano a un altro eletto della sua maggioranza. Ma, in caso sia di reincarico sia di staffetta, il partito che ha fatto cadere il governo può esser cacciato e sostituito con uno che stava all’opposizione: il classico ribaltone. Si dirà: ma niente tecnici né larghe intese. Falso: nessuna norma impedisce al secondo (e ultimo) premier della legislatura di coinvolgere quanti partiti vuole. L’unico obbligo è che lui sia un parlamentare, ma per i ministri non vale: se oggi fossero in vigore le nuove regole e Salvini rovesciasse il governo, la Meloni potrebbe passare la mano a un Giorgetti, che potrebbe nominare tutti ministri tecnici per tenersi i leghisti governisti e allargare la maggioranza ai centrini. Così avremmo un ribaltone e un governo ancor più tecnico di quello di Draghi. Non solo: il secondo premier, essendo anche l’ultimo (il premierato non consente un terzo tentativo), sarebbe molto più forte del primo per il terrore degli eletti di perdere la poltrona: quindi il premier eletto dal popolo sarebbe molto più debole di quello che nessuno s’è mai sognato di eleggere. Non è meraviglioso?
Leggi tutto ↣ : Premier lingue – Il Fatto Quotidiano