Immunità di gregge

L’editoriale di Marco Travaglio

Immunità di gregge

Da giorni Salvini, dopo essersi calato qualche mojito (almeno si spera), calava la maschera strologando di strane forme di impunità per i presidenti di Regione a fine mandato o sino a fine mandato (non lo capiva bene neanche lui). Poi ieri l’ha raggiunto a Roma il suo idolo Toti, fresco di manette e rinvio a giudizio per corruzione, e ha tradotto l’ideona in italiano: “Le immunità della politica sono calate oltre ogni limite seguendo un certo populismo e giustizialismo. Vanno allargate dai parlamentari ai ministri. E anche governatori e sindaci devono avere una protezione, non per Toti, ma per il mandato popolare che gli è stato affidato”. Quindi immunità parlamentare, ma anche ministeriale, regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, rionale e pure extralarge, mai vista neppure nella Costituzione originaria. Che non s’è mai sognata di vietare o rinviare i processi agli eletti: richiedeva solo l’autorizzazione a procedere del Parlamento per indagarli. Poi, visto l’abuso che ne faceva, nel 1993 lo stesso Parlamento la riformò a furor di popolo, limitandola ad arresti, perquisizioni e intercettazioni (che fra l’altro sono atti a sorpresa ed è assurdo avvisarne in anticipo i destinatari).

Ora Toti vuole l’autorizzazione a delinquere. Ma nessuno l’ha informato – è un giornalista e certe cose mica può saperle – che i “giustizialisti populisti” che imposero il taglio delle immunità erano proprio i suoi alleati: i futuri forzisti e Fratelli d’Italia (all’epoca nel Msi) e la Lega (Salvini che aveva solo 20 anni e, per fortuna di Bossi, stava a Il pranzo è servito). Si era in piena Tangentopoli e, dopo un solo anno di legislatura, le due Camere avevano ricevuto ben 540 richieste di autorizzazione a procedere per quasi altrettanti eletti (oltre metà del totale): record mondiale di tutti i tempi. Un sondaggio Fininvest di Gianni Pilo svelò che solo il 2% degli italiani aveva fiducia nei partiti. I leghisti Bossi, Maroni e Castelli chiesero a gran voce la fine all’“inaccettabile degenerazione nell’applicazione della immunità… trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio” con “conseguenze aberranti”. E così i missini Fini, Gasparri (ora FI) e La Russa (ora FdI): “L’uso e soprattutto l’abuso del diniego di autorizzazione a procedere sono visti dai cittadini e dall’autorità giudiziaria come strumenti per sottrarsi al corso necessario della giustizia”. Il relatore della riforma era Carlo Casini (un Dc pro life poi passato ai centristi con Lupi): “Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. L’istanza di eguaglianza deve riguardare in primo luogo gli autori delle leggi”. La Camera approvò con 525 sì, 5 no (fra cui Sgarbi) e 1 astenuto; il Senato con 224 sì, zero no e 7 astenuti. Almeno i ladri di allora erano furbi. Oggi sono pure fessi.

 

Sorgente ↣ : Immunità di gregge – Il Fatto Quotidiano

 

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