L’editoriale di Marco Travaglio
Il Draghetto dove lo metto
Ma non mi dire: l’11 settembre, data particolarmente consona alle disgrazie, Mario Draghi (sempre sia lodato) ha incontrato Marina Berlusconi e Gianni Letta. Due giorni prima aveva presentato la nuova Agenda in pelle umana, subito cestinata dalla von Sturmtruppen e dal governo tedesco tranne che per la parte peggiore: quella della terza guerra mondiale. Che ci faceva l’ex direttore generale del Tesoro, vice-chairman di Goldman Sachs, governatore di Bankitalia e della Bce, premier e aspirante trombato al Quirinale con la figlia e il lobbista dell’amico B.? Un portavoce della rampolla parla di “incontro di cortesia già pianificato da tempo, oltre che un’occasione di conoscenza reciproca… nella prassi consolidata di incontri a vari livelli che la Presidente svolge in qualità di imprenditore”, cioè di presidente Fininvest e Mondadori. Avranno certamente parlato del futuro dell’editoria libraria e televisiva, o magari della pubblicazione del suo agile e avvincente Il futuro della competitività europea, 394 pagine che si leggono come un romanzo (horror). Non certo di politica: i figli di B. sono notoriamente disinteressati all’articolo, anche se tutti pensano che facciano capoluogo, sennò ci sarebbe un conflitto d’interessi; e Draghi è proverbialmente alieno da mire e pensieri sì prosaici. Capita però, di tanto in tanto, che per puro caso venga colto col sorcio in bocca.
Il 20 settembre 2013, poco prima dell’espulsione del neopregiudicato B. dal Senato che stava minando il governo Letta, Draghi fu visto uscire a tarda sera dalla casa di Eugenio Scalfari, in piazza della Minerva, insieme al capo dello Stato Giorgio Napolitano e al premier Enrico Letta (dove c’è Draghi, c’è sempre un Letta). Due giorni dopo Scalfari pubblicò su Rep un editoriale (“Napolitano-Letta-Draghi: lo scudo Italia-Europa”), molto ispirato sul pensiero dei suoi commensali, “i nostri tre punti di forza”. Ma non bastò: quattro mesi dopo Renzi pugnalò Letta con un sereno tweet. Nel dicembre 2020 Renzi voleva accoltellare pure Conte in piena pandemia, scrittura del Pnrr e vigilia della campagna vaccinale. Draghi chiamò Massimo D’Alema, non proprio un amico, che non vedeva da anni, e lo invitò nella sua casa ai Parioli. D’Alema andò e si sentì chiedere se non fosse ora di pensare a un’alternativa (indovinate chi) a Conte, che aveva appena portato i 209 miliardi di Pnrr. D’Alema rispose di no, parlando bene di Conte e malissimo di un governo di larghe intese con pezzi di destra. Draghi fece sapere che con Max aveva parlato di Cina. Un mese dopo Renzi rovesciò Conte e arrivò Draghi. Che, appena vede qualcuno, cade il governo. La Meloni non ha bisogno di consigli: ma una grattatina non ha mai fatto male a nessuno.
Sorgente ↣ : Il Draghetto dove lo metto – Il Fatto Quotidiano