Le dimissioni del francese definiscono il secondo mandato di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione europea
L’arrivo di Thierry Breton a Bruxelles è avvenuto nel bel mezzo di una sorta di terremoto politico: il suo nome è emerso nel 2019 dopo che il Parlamento europeo aveva respinto Sylvie Goulard, scelta dalla Francia come commissario europeo, scatenando una reazione furiosa da parte dell’Eliseo. L’ex amministratore delegato di Atos si è quindi buttato nella mischia, ha superato il vaglio del Parlamento e ha strappato il portafoglio responsabile del mercato interno.
È significativo che l’uscita di scena di Breton avvenga in un contesto altrettanto turbolento. In una lettera tagliente e senza mezzi termini postata su X (piattaforma social contro la quale ha lanciato un’inchiesta), il francese ha annunciato le sue dimissioni e ha accusato la presidente Ursula von der Leyen di complottare contro la sua riconferma.
Fino alle prime ore di lunedì mattina Breton era considerato un candidato sicuro alla carica di vicepresidente nel secondo mandato di von der Leyen, che si prevede si concentrerà in modo particolare sull’economia e sulla competitività. Il lavoro di regolamentazione svolto da Breton per arginare gli eccessi di potere delle Big Tech e rilanciare la base produttiva dell’Ue, in particolare per quanto riguarda i vaccini anti-Covid e gli equipaggiamenti militari per l’Ucraina, sembravano credenziali solide per giustificare la sua ascesa a un portafoglio più ampio e orizzontale.
Fin dall’inizio del suo mandato Breton si è comportato come un Commissario unico nel suo genere. Attingendo spudoratamente al suo background nel settore privato, ha adottato un approccio schietto e diretto. Le immagini delle sue numerose visite alle fabbriche di tutta Europa sono state pubblicate più volte nei suoi canali social. Il suo modo di lavorare è stato apprezzato e ha portato quella che molti consideravano una ventata d’aria fresca nella politica monotona di Bruxelles.
Ma i suoi risultati non sono bastati per superare le divergenze personali con il suo capo. Il primo forte indizio di quanto il rapporto si fosse inasprito è arrivato a marzo, quando Breton, in un messaggio a tarda sera, si è scagliato contro il Partito Popolare Europeo (PPE) per aver dato un sostegno tiepido alla candidatura di von der Leyen per la rielezione. “La vera domanda ora è: è possibile (ri)affidare la gestione dell’Europa al PPE per altri 5 anni, o per 25 anni di fila?”. Lo stesso PPE non sembra credere nel suo candidato”, aveva scritto Breton.
La diatriba ha sollevato seri interrogativi etici, in quanto sembra violare le linee guida interne dell’esecutivo per le elezioni dell’Ue, che impongono limitazioni ai commissari per evitare conflitti di interesse e la politicizzazione dei loro uffici. Breton è stato accusato anche di minare la posizione politica di von der Leyen.
L’ulteriore grave incrinatura si è verificata in agosto dopo che Breton, nella sua instancabile crociata contro il dominio del mercato della Silicon Valley, ha pubblicato una lettera diretta a Elon Musk in vista dell’intervista del miliardario a Donald Trump su X, la piattaforma di cui è proprietario. Breton ha ricordato a Musk l’obbligo di impedire l’amplificazione di contenuti dannosi ai sensi della legislazione europea e ha promesso di “fare pieno uso della nostra cassetta degli attrezzi” in caso di illeciti.
La lettera si è immediatamente ritorta contro e ha scatenato un’ondata di critiche nei confronti di Breton per quello che è stato visto come un attacco alla libertà di espressione e un palese caso di eccesso di potere. La Commissione ha preso rapidamente le distanze da questa iniziativa, affermando che von der Leyen non era a conoscenza del messaggio di Breton.
La “regina Ursula” contrattacca
Questo ha creato le premesse per le sue dimissioni. Secondo Breton von der Leyen avrebbe spinto il presidente Emmanuel Macron a ritirare la sua candidatura come commissario europeo in cambio di un portafoglio più importante per la Francia.
“Lei ha chiesto alla Francia di ritirare il mio nome – per ragioni personali che non ha mai discusso direttamente con me – e ha offerto, come contropartita politica, un portafoglio presumibilmente più influente per la Francia nel futuro Collegio”, ha scritto Breton.
La Commissione non ha confermato né smentito che von der Leyen abbia contattato Macron, sostenendo che queste interazioni erano basate su “fiducia e riservatezza”. Ancor più degna di nota è stata la frecciata di Breton al suo capo, che ha accusato di “governance discutibile” (la Commissione ha rifiutato di commentare).
Gli eurodeputati sono intervenuti sulla questione: Raphaël Glucksmann, socialista francese, ha lodato l’eredità di Breton e ha definito la sua partenza un “pessimo segnale, sia nella sostanza che nella forma”. Nel frattempo, Dirk Gotink, del PPE, ha affermato che è “alquanto ridicolo silurare il processo di formazione del Collegio in questo modo per futili motivi personali”.
Gli effetti delle sue dimissioni sono già evidenti. Con Breton ufficialmente fuori dai giochi, von der Leyen stringe la presa sulla Commissione e stabilisce il tono del suo nuovo mandato: la fedeltà sarà apprezzata, il dissenso no. Forte di una maggioranza più solida del previsto, von der Leyen non ha alcun incentivo a cambiare la sua governance, che è stata criticata come eccessivamente centralizzata e impenetrabile al di là di un gruppo selezionato di consiglieri. La sua inclinazione a una comunicazione impeccabile e la sua riluttanza a entrare nelle controversie le hanno fatto guadagnare il soprannome di “regina Ursula”: una reputazione che la sua campagna per la rielezione ha cercato di mitigare, per lo più senza riuscirci.
Breton non è stato il primo a sfidare la corona. Frans Timmermans, il vicepresidente esecutivo olandese per il Green Deal, anch’egli noto per le sue opinioni schiette e senza peli sulla lingua, ha lasciato la Commissione nel 2023 per candidarsi a una carica nazionale. A quel punto, è diventato il bersaglio di una campagna al vetriolo condotta dal PPE e ha ricevuto poco o nessun sostegno pubblico da von der Leyen.
Un altro personaggio candido, l’Alto rappresentante Josep Borrell, che ha pubblicamente criticato von der Leyen per la sua gestione iniziale della guerra tra Israele e Hamas, sta per terminare il suo mandato e lascerà presto Bruxelles. Anche Nicolas Schmit, il candidato principale dei socialisti, che ha corso contro von der Leyen, non resterà.
Con il PPE pronto a controllare la maggioranza delle posizioni nella prossima Commissione, sembra improbabile von der Leyen riceva pressioni per un cambiamento di rotta sulla strategia da usare per affrontare i numerosi problemi dell’Europa.
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