Questa mattina all’alba Moncalieri si è svegliata con l’arresto di Franco D’Onofrio, 60 anni, originario di Mileto (Vibo Valentia), ritenuto dagli investigatori il vertice della ‘Ndrangheta in Piemonte.
L’operazione, condotta dal Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Guardia di Finanza di Torino, ha portato all’arresto di altre cinque persone. Gravi le accuse: associazione di stampo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, traffico di armi.
Ndrangheta in Piemonte: l’organizzazione
Secondo gli investigatori l’organizzazione criminale ha infiltrato profondamente il tessuto economico della provincia torinese, con particolare attenzione al carmagnolese. Il modus operandi dell’organizzazione si basa su intimidazione, assoggettamento e omertà, permettendo il controllo di attività economiche strategiche: edilizia, immobiliare, trasporti, ristorazione.
Non solo: le cosche avrebbero esteso la loro influenza anche su una sigla sindacale degli edili. Un membro eletto nella locale segreteria di un sindacato del settore edilizio sarebbe stato fondamentale per l’operatività dell’associazione criminale. Questa infiltrazione, se confermata, rappresenterebbe un grave attacco alle istituzioni che dovrebbero tutelare i lavoratori e un salto di qualità della penetrazione della ‘Ndrangheta nell’ambito lavorativo.
Il nome di Franco D’Onofrio era emerso anche nelle indagini sull’omicidio del procuratore Bruno Caccia, ucciso a Torino nel 1983: secondo le dichiarazioni di Domenico Agresta, giovane pentito di ‘Ndrangheta, suo padre lo avrebbe indicato come uno degli esecutori materiali del delitto. D’Onofrio era comunque uscito dal procedimento con un’archiviazione definitiva disposta dal Gup di Milano nel dicembre 2023. La decisione aveva suscitato perplessità nella famiglia Caccia, convinta che ci fossero ancora molti aspetti da chiarire su quell’omicidio.
La storia di D’Onofrio è complessa e intrecciata con vicende di criminalità organizzata e terrorismo. Prima di essere coinvolto con la ‘Ndrangheta, D’Onofrio militò nei Colp (Comunisti organizzati per la liberazione proletaria), un’organizzazione nata per far evadere i brigatisti dalle carceri. Il passato nel terrorismo aggiunge un nuovo tassello alla già complicata ricostruzione dell’omicidio Caccia.
Nel 1986 fu arrestato in Svizzera dopo un conflitto a fuoco e successivamente estradato in Italia. Nel 2011 il suo nome apparve nell’operazione Minotauro, un’indagine sulla presenza delle ‘ndrine in Piemonte. Il pentito Rocco Varacalli lo descrisse come appartenente alla ‘Ndrangheta, mentre i Pm lo indicarono come membro del “crimine di Torino” con la dote di “padrino”.
Ndrangheta in Piemonte: le carte del Gico
Dalle indagini del Gico di Torino sarebbe emerso che “la ‘Ndrangheta ha fornito sul territorio di Carmagnola protezione a imprenditori nel corso di dissidi con altri operatori economici. Tale servizio di protezione veniva remunerato con somme di denaro riscosse e successivamente destinate agli associati”.
D’Onofrio sarebbe stato “il riferimento per appartenenti alla criminalità organizzata comune che intendevano ottenere avallo per la propria attività delittuosa. Egli risulta aver esercitato il proprio ruolo anche sovraintendendo alle attività dei partecipi del sodalizio carmagnolese nel settore dell’edilizia, e poi aver assicurato i sostentamenti finanziari per le spese legali degli associati e le loro famiglie”.
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