Povero Adolfo Urso, ministro dello Sviluppo economico che da mesi ha un chiodo fisso: consentire che la produzione di auto a benzina e diesel spossa continuare anche dopo il 2035. Qualche giorno fa tutto festante il ministro ha presentato a Bruxelles il suo piano chiedendo di rivedere la scadenza. Del resto, nella propaganda della maggioranza, il tema mondiale dell’inquinamento e del cambiamento climatico si scontra con il bullismo di cilindrata. Così è tutto più semplice e immediato per una parte dell’elettorato.
Urso era felice. Al suo fianco aveva solidi alleati come Malta e Cipro. In realtà una doccia fredda era arrivata dal ministro tedesco Robert Habeck che aveva detto di voler “mantenere la data del 2035”, ma Urso giurava che la trattative fosse aperta. Ieri la doccia fredda si è fatta gelata. “La Germania non vuole indebolire le regole climatiche, per noi gli obiettivi climatici sono fondamentali e vediamo già un pericolo che l’industria Ue non regga la competizione con veicoli elettrici provenienti da altrove. Il nostro obiettivo non è mettere in discussione l’uscita dal motore endotermico nel 2035 e non chiediamo nuovi biocarburanti, che non sono climaticamente neutrali”, ha scandito il segretario di Stato tedesco agli Affari economici, Sven Giegold, arrivando al Consiglio Ue Competitività.
A stretto giro anche la Spagna attraverso il ministro spagnolo dell’industria e del turismo, Jordi Hereu ha detto di non volere fare nessun passo indietro. E perfino l’unico produttore italiano, Stellantis, con il suo numero uno Carlos Tavares dice che “cambiare adesso le norme sarebbe surreale”. Con Urso rimangono Romania, Repubblica Ceca, Malta, Lituania e Slovacchia. Povero Urso.
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