Centri migranti in Albania, tra poco l’inaugurazione tra costi altissimi e ostacoli legali

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Dopo mesi di rinvii e polemiche, i centri per migranti in Albania voluti dal governo Meloni sono finalmente pronti a entrare in funzione. La prossima settimana la premier e il ministro Piantedosi voleranno a Tirana per tagliare il nastro dell’hotspot di Shengjin e del centro di detenzione di Gjader, accolti dal primo gruppo di migranti trasportati da una nave militare italiana. Un’inaugurazione in pompa magna per celebrare quello che il governo considera un successo ma che potrebbe rivelarsi un clamoroso autogol.

Costi astronomici e ostacoli legali: il progetto in Albania vacilla

I costi dell’operazione sono astronomici: quasi un miliardo di euro in cinque anni per strutture che rischiano di rimanere vuote. Perché se è vero che i lavori di allestimento si sono conclusi, seppur con cinque mesi di ritardo, è altrettanto vero che una recente sentenza della Corte di Giustizia europea rischia di mandare all’aria l’intero progetto ancora prima che parta.

I giudici del Lussemburgo hanno infatti stabilito che, per essere considerato “sicuro”, un Paese deve esserlo in ogni sua parte e per qualsiasi categoria di persone, senza eccezioni. Un criterio che fa crollare come un castello di carte la lista di 22 Paesi stilata dalla Farnesina, su cui si basa l’intero meccanismo delle procedure accelerate di frontiera previste dal protocollo italo-albanese.

Scorrendo l’elenco praticamente nessuno dei Paesi da cui provengono i migranti che attraversano il Mediterraneo avrebbe più i requisiti per essere ritenuto sicuro: non la Tunisia, non l’Egitto, non il Bangladesh. Di fatto, solo chi arriva da Capo Verde (pochissimi) potrebbe essere soggetto a queste procedure. Un dettaglio non da poco, che rischia di trasformare i nuovi centri in cattedrali nel deserto ancor prima di aprire i battenti.

Procedure al limite della legalità: il rischio di un clamoroso fallimento

Ma il governo tira dritto, incurante dei rischi. Il Viminale ha già predisposto le regole operative: i migranti soccorsi in acque internazionali verranno portati su una nave della Marina che fungerà da hub al largo di Lampedusa. Qui avverrà una prima scrematura: donne, minori, famiglie e persone fragili verranno fatte sbarcare sull’isola, mentre gli uomini adulti ritenuti provenienti da Paesi “sicuri” saranno trattenuti e portati in Albania una volta raggiunto un numero congruo.

Peccato che, alla luce della sentenza europea questa procedura sia ora priva di fondamento giuridico. Se il governo insisterà, è facile prevedere che i nodi verranno presto al pettine: i primi migranti fermati e portati in Albania potrebbero essere rilasciati dopo 48 ore e riportati in Italia, visto che il protocollo firmato da Meloni e Rama prevede espressamente che nessun migrante possa rimanere libero in territorio albanese.

Uno scenario che, se si verificasse già con la prima nave, renderebbe i nuovi centri inutili ancor prima di entrare in funzione. Uno smacco politico per il governo che si propone come capofila in Europa della strategia di esternalizzazione delle richieste di asilo.

Eppure a Roma sembrano non preoccuparsi, procedendo spediti verso un’inaugurazione che ha tutta l’aria di essere l’ennesima operazione di facciata. Resta da capire quanto durerà la festa prima che la realtà bussi alla porta, presentando il conto di un’operazione tanto costosa e che rischia di rivelarsi inutile. Nel frattempo il contatore della spesa pubblica continua a girare, in attesa che qualcuno si decida a staccare la spina a questo carrozzone mediatico-politico travestito da soluzione ai problemi migratori.

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