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Che vorrebbero che facessero? Scomparire. Non c’è altra spiegazione per l’ennesimo ordine di evacuazione nel nord di Gaza. Un ordine che suona come una condanna a morte per migliaia di civili, bambini, neonati, malati. Un ordine che non lascia scampo, che non offre alternative, che non contempla l’umanità. L’Unicef lancia l’ennesimo grido d’allarme ma ormai le parole sembrano aver perso di significato. Parlano di “conseguenze devastanti e inconcepibili”, ma cosa c’è di inconcepibile in una guerra che da mesi massacra l’innocenza?
Parlano di “sofferenze, orrori e morte inimmaginabili”, ma cosa c’è di inimmaginabile in un conflitto che ha fatto dell’orrore la sua normalità? I numeri sono impietosi: tre grandi ospedali da evacuare, tra cui l’unico con un’unità pediatrica nel nord. Diciotto bambini in condizioni critiche da spostare. Ma spostare dove? In un sud già sovraffollato, inquinato, privo di risorse. In un luogo che di sicuro ha solo il nome, perché la morte non fa distinzioni geografiche a Gaza. E poi ci sono loro, i più vulnerabili tra i vulnerabili: i bambini con disabilità, quelli con condizioni mediche gravi. Per loro, l’ordine di evacuazione è una sentenza senza appello. Spostarsi significa rischiare la vita, rimanere significa condannarsi a morte certa.
Ma forse è proprio questo il punto. Forse l’obiettivo non è farli spostare ma farli sparire. Cancellare un’intera generazione, eliminare il problema alla radice. Perché un bambino che non c’è più non potrà crescere, non potrà rivendicare diritti, non potrà ricordare e chiedere giustizia. E mentre il mondo guarda, impotente o complice, l’Unicef implora un cessate il fuoco. Ma sono sempre parole che cadono nel vuoto, inascoltate. Perché in questa guerra l’umanità sembra essere diventata un optional, un lusso che nessuno può più permettersi.
Che vorrebbero che facessero? Scomparire.
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