Caso Vattani, giovedì la sentenza sulla petizione che chiedeva la revoca della nomina del governo. Al giornalista chiede 50mila euro


A gridar “fascisti” non vanno su Marte ma fanno carriera. Ma chi lo dice finisce in tribunale. C’è una buona causa per interrogarsi ancora sul tema ed è quella per diffamazione che si discute domani, giovedì, al tribunale di Genova intentata contro il giornalista Lorenzo Tosa da Mario Vattani, il diplomatico che la stampa ribattezzò il console fascio rock” che il 26 gennaio scorso il governo Meloni ha promosso al grado di ambasciatore in Giappone, dove era come commissario per l’Expo di Osaka, con uno stipendio di mille euro al giorno, più rimborsi spese.

La causa risale al 2021, quando Tosa insieme ad Andrea Scanzi e Saverio Tommasi, promosse una petizione su Change.org per chiedere al presidente Mattarella di revocare la nomina di Vattani a Osaka. Il diplomatico aveva risposto chiedendo la rimozione della petizione, 50mila euro di risarcimento e la pubblicazione della sentenza sul Fatto. Tosi si è difeso chiedendo l’annullamento dell’ordine di rimozione, il ripristino della petizione e il rimborso delle spese legali. La causa si trascina di udienza in udienza per tre anni fino all’appuntamento di domani, 17 ottobre, con Vattani che tiene la linea e Tosa che insiste perché le sue richieste siano respinte.

La cosa singolare è che – pur non avendo Vattani abiurato pubblicamente la “fede nera” che lo aveva portato a esibirsi su un palco di CasaPound nel 2011 – per stabilire se sia ancora possibile criticare le scelte di un governo tocca tornare indietro di ben 35 anni, e arrovellarsi su un episodio di cronaca ormai diventato storia, anche giudiziaria: l’aggressione fascista al Cinema Capranica di Roma del 9 giugno 1989, quando un gruppo del Fronte della Gioventù mandò quasi in fin di vita due ragazzi.

Erano 15 militanti ma nel processo furono condannati in quattro. Vattani fu riconosciuto tra i partecipanti dalle vittime e con una cintura in mano, la Corte di Assise di Roma nel 1991 ne confermò la presenza e tuttavia nel procedimento penale fu assolto perché non si riuscì a stabilirlo con certezza, mentre nel civile uscì nel 1991 dopo il versamento di una ingente somma di danaro. Lo ricorderà così Andrea Sesti, una delle vittime: “Un’ora prima della prima udienza arrivarono con un libretto al portatore da 90 milioni di vecchie lire e me li offrirono per ritirare la costituzione di parte civile. Non so chi li pagò, ma certo Vattani era tra i personaggi coinvolti quello che sembrava avere le maggiori disponibilità”. Una cifra impossibile per gli altri a processo, questa la tesi, salvo che per l’allora rampollo della casata Vattani, con il padre Umberto consigliere diplomatico di De Mita e Giulio Andreotti. Vattani ha sempre negato.

Nella sua difesa Tosa, assistito dall’avvocato Edno Gargano, ricorda anche i testi delle canzoni evocative di “Katanga”, nome di Vattani come leader del gruppo “SottoFasciaSemplice”, una facesse riferimento proprio all’aggressione al Cinema Capranica: “Katanga col K come Capranica e che grande bordello infinito, il rissone con porte e finestre rotte, che casino è scoppiato. Ed era meglio che quel nome davvero sfigato non me l’avessero mai dato, perché è stato davvero complicato spiegarne il senso”.

Oltre alla Storia, si interroga il Diritto ma su aspetti tecnici che forse non cambiano la sostanza dei fatti su cui il giudice è chiamato a decidere. La petizione indicava Vattani come “prosciolto” anziché “assolto”. Per il suo legale l’uso di un termine al posto dell’altro sarebbe la prova di una volontà diffamatoria, per quello di Tosa del contrario, giacché il proscioglimento interviene in una fase precedente al dibattimento, e dunque sarebbe anche più favorevole rispetto ad “assoluzione”.

Vattani, pur contattato dal Fatto, non ha inteso rilasciare dichiarazioni. Sul caso è intervenuto solo Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi e Sinistra a rimarcare come l’incompatibilità segnalata dalla petizione di allora perduri a suo dire oggi e come il caso sia grave perché nella scia di condotte censorie e punitive verso chi critica, citando quelli di Antonio Scurati e Serena Bortone. L’Ordine dei Giornalisti lo ha già: “Un evidente tentativo di imbavagliare e intimidire chi cerca di informare i cittadini”.

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