Spurtivo! – Il Fatto Quotidiano

Da anni Sabino Cassese allieta le nostre giornate con una vis comica degna del suo compianto sosia Capannelle, il vecchietto de I soliti ignoti che si vanta di vestire “spurtivo” mentre Peppe er Pantera lo accusa di indossare la “divisa da ladro”. Un tempo austero e silenzioso amministrativista, con l’incedere dell’età s’è trasformato in un garrulo tuttologo da talk e da intervista prêt à porter, nonché in un sederino d’oro candidato a tutte le poltrone su piazza grazie a un posteriore extralarge a fisarmonica (a tre, o quattro, o cinque chiappe) che gli consente di occuparne anche più d’una contemporaneamente. Da quando passò per la Consulta grazie all’amico Ciampi, viene scambiato per costituzionalista, anche se ha sposato tutte le schiforme più incostituzionali mai viste: la Letta-Napolitano 2013, la Renzi-Boschi-Verdini 2016, i referendum anti-giustizia 2022. Nel 2017 aderì alla campagna del Foglio per “sciogliere per eversione il M5S”, primo partito d’Italia. Nel 2020 bombardò come “incostituzionali” le misure anti-Covid di Conte-“Orbán” (purtroppo costituzionalissime per la Consulta), ma non quelle uguali o più rigide di Draghi; i 300 tecnici di Conte per il Pnrr, ma non i 2mila e più di Draghi.

È fatto così: un juke-box del diritto che distribuisce promozioni e bocciature a seconda di chi infila la moneta nell’apposita fessura. E per moneta s’intende il vil denaro (entrò nel board di Atlantia, ne uscì con 700mila euro e iniziò a difendere i Benetton dai cattivoni che volevano cacciarli da Autostrade dopo il crollo del Morandi), ma anche incarichi governativi per lui e/o per lo stuolo di allievi e protégé. Conte, nuovo del mestiere, lo tenne fuori dal poltronificio e mal gliene incolse; Draghi e Meloni ripresero la tradizione destra- centro-sinistra imbarcando Sabino e i suoi cari, e dal juke box uscirono solo note celestiali. La Meloni l’ha adottato come badante giuridico, i suoi ministeri sono pieni di Cassese boys, Calderoli ha eretto Sabino Capannelle alla presidenza della commissione che fisserà i Lep dell’Autonomia. E lui ricambia sposando il presidenzialismo, ma pure il premierato (a piacere), e fa clap- clap (o Lep-Lep) al decreto incostituzionale che esautora la Corte dei Conti sul Pnrr: in due giorni ha rilasciato interviste plaudenti sul “sacrosanto” golpetto a RepubblicaMessaggeroGiornaleFoglio e Tgcom24. Appena apre bocca, viene da domandarsi come abbia fatto Leo Longanesi, senza conoscerlo, a concepire almeno tre dei suoi aforismi. “Non capisce nulla, ma con grande autorità e competenza”. “Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi, perché poi si piegano”. “La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: ‘Ho famiglia’”.

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Guerre da remoto – Il Fatto Quotidiano

Ogni giorno si impara qualcosa. Ieri, nella festa della Repubblica Ucraina celebrata a Roma dalle massime autorità italiane, addirittura due cose. La prima ce la insegna il presidente Mattarella: “La Costituzione indica il ripudio della guerra quale strumento di risoluzione delle controversie… un principio attualissimo e profondamente sentito, di cui l’inaccettabile aggressione della Federazione Russa all’Ucraina rappresenta la più brutale ed evidente negazione”. Noi pensavamo che Putin giurasse sulla Costituzione russa e il capo dello Stato e i governanti italiani su quella italiana. Invece scopriamo che la Costituzione italiana deve rispettarla Putin, non le nostre autorità. Che infatti osservano la Costituzione russa, per nulla ostile alla guerra, anzi. Solo così si spiega la guerra scatenata nel 1999 dai governi Nato, incluso quello italiano vicepresieduto da Mattarella, contro la Serbia; e ora la cobelligeranza decisa da due governi nominati da Mattarella in spregio alla Costituzione italiana e in ossequio a quella russa. Mattarella deplora “le crescenti tensioni nei Balcani”, figlie della sua guerra di 24 anni fa, e annuncia che l’Italia “continuerà ad assicurare il proprio sostegno al popolo ucraino” per la “ricerca della pace” senza negoziati (mai nominati, anche perché Zelensky li ha vietati il 4 ottobre per decreto), “nel quadro della sua convinta appartenenza alla Ue e all’Alleanza Atlantica” (delle quali però l’Ucraina purtroppo non fa parte).

La seconda lezione ce la impartisce Adriano Sofri, dall’alto della sua condanna definitiva a 22 anni come mandante dell’omicidio Calabresi, sul Foglio di cui è editorialista fisso (come Fioravanti lo è della nuova Unità). Il gentiluomo ce l’ha con il “comiziaccio di Marco Travaglio”, “piazzista d’infamie, da remoto, beninteso”, che a Ottoemezzo ha osato definire l’Ucraina “Stato terrorista”. In effetti l’intelligence Usa ha accertato che dietro l’autobomba che a Mosca ha ucciso Darya Dugina, figlia 29enne del filosofo Aleksandr, c’era il governo Zelensky. Poi il capo dei Servizi militari ucraini, Kyrylo Budanov, s’è vantato di “uccidere” giornalisti e propagandisti russi inermi “ovunque sulla faccia della terra fino alla completa vittoria”. E dall’ Ucraina partono continui attacchi con droni e razzi contro obiettivi civili a Mosca e in altre città russe. Tutti attentati omicidiari che non c’entrano nulla con la sacrosanta resistenza ucraina contro le truppe russe. Per noi e per ogni manuale di diritto internazionale, questo è terrorismo. Con l’aggravante di essere finanziato e armato da noi. Per Sofri è pura normalità autobiografica da quando mandò due poveracci imbevuti dei suoi deliri rivoluzionari ad assassinare un commissario di polizia disarmato. Da remoto, beninteso.

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Lucia Ti Caranzìa – Il Fatto Quotidiano

L’altra sera, a Dimartedì, Michele Santoro ha avuto il grave torto di rinfrescarci la memoria sui non-epurati Fazio e Annunziata e sulla ridicolaggine dei paragoni con l’editto bulgaro. Siccome dire la verità è peggio che schierarsi per la pace, Santoro è stato malmenato dal servizio d’ordine del Corriere, cioè da Aldo Grasso (“livore, rabbia, violenza verbale”) e Massimo Gramellini (“livore, massimalismo, cuccagna della destra”). Su Fazio non c’è nulla da aggiungere ai ricordi di Santoro e a quelli di Luttazzi sul Fatto. Sull’Annunziata qualcosa c’è. Nel 1996 Prodi vince le elezioni e lei, da un anno conduttrice di Linea3 su Raitre, sale sul palco di piazza Santi Apostoli per festeggiare coi leader dell’Ulivo: tre mesi dopo è direttrice del Tg3 con la benedizione degli amici Prodi e Fini. Nel ’98 se ne va sbattendo la porta: “Il Tg3 è l’unica isola di socialismo reale”. Nel 2001 B. torna al potere e nel ’02 si prende la Rai, facendone cacciare Biagi, Luttazzi e Santoro. Il 7 marzo ’03 i presidenti delle Camere, Casini e Pera, nominano presidente “di garanzia” della Rai Paolo Mieli, scelto in una rosa di nomi avanzata dall’Ulivo: il resto del Cda va alla destra (Alberoni, Petroni, Rumi e Veneziani). Mieli pone alcune condizioni, soprattutto una: riportare in video Biagi e Santoro (Luttazzi è già archiviato). La Casa delle Libertà risponde con una raffica di attacchi e insulti (in prima fila Calderoli e Butti, futuri membri del governo Meloni), conditi da leggiadre allusioni allo stipendio e alle origini ebraiche.

Il 12 marzo Mieli rinuncia. Ufficialmente il centrosinistra si chiama fuori. Ma poi, in segreto, Fassino vede Casini e gli fa il nome dell’Annunziata che, dopo una variopinta carriera dal manifesto a Repubblica al Foglio, è editorialista e “garante” del Riformista di Polito, giornale di area Ds che piace a destra. B. approva, FI e An plaudono. Il 13 marzo, appena Fassino, Casini e Pera la chiamano, Annunziata accetta senza neppure le minime pregiudiziali poste da Mieli (il rientro di almeno due epurati). “Ci ho pensato un attimo – racconterà – forse meno di un attimo. Poi ho risposto: perché no?”. Dura meno di 14 mesi, la “bresitende ti caranzìa”, senza riuscire a garantire alcunché, a parte le epurazioni permanenti (Biagi, Luttazzi e Santoro) e quelle nuove (Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Massimo Fini): una contro quattro quando vota contro, quinta dei cinque quando si associa a decisioni sconcertanti delle destre, come la “sospensione” (così chiama la chiusura definitiva) di RaiOt della Guzzanti e l’ispezione contro il Tg3 che ha osato riprendere e trasmettere la contestazione di Piero Ricca a B. in tribunale. Se Grasso e Gramellini hanno qualcosa da smentire, si facciano avanti. Altrimenti abbiano il buon gusto di tacere.

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