Dopo le meritorie ma sfortunate ricerche dell’Agenda Draghi e l’intrepido attacco all’articolo “il” usato da Meloni, il Pd si accinge a un’altra battaglia campale: contro la toponomastica fascista, cioè contro le vie, le piazze e i vicoli dedicati a personaggi legati al Ventennio. L’altroieri alla Camera dem e rossoverdi, d’intesa coi 5Stelle, hanno presentato ben due progetti di legge in materia. Non è ben chiaro il raggio d’azione del repulisti, che potrebbe condannare alla damnatio memoriae Pirandello, Marconi, Ungaretti, D’Annunzio, Mascagni, Gentile, Malaparte, Longanesi, Maccari, Soffici, i futuristi al gran completo, Moravia, Bobbio, Scalfari e chi più ne ha più ne metta (Montanelli è già stato sistemato con la vernice rosa sulla statua a Milano). Ma, in linea di principio, chi potrebbe essere contrario, a parte i fascisti?
Colpisce però il tempismo: mentre nel Parlamento italiano i nostri eroi si scaldavano su questa terribile emergenza nazionale, in quello europeo pm e gendarmi entravano e uscivano arrestando politici e assistenti targati Pd e Articolo 1, sigillando uffici, sequestrando valigie di banconote, documenti, pc, tablet e telefonini. Un partito serio, o perlomeno furbo, anche se non ci crede, reagirebbe con qualche iniziativa che lasci traccia e dimostri agli elettori superstiti la volontà (magari finta) di cambiare registro. Invece la Sinistra della Crusca (come la chiama Padellaro) continua a occuparsi di nomi, come se oggi le piazze dedicate ad Almirante in qualche paesucolo sperduto fossero in cima ai pensieri della gente. Certo, l’antifascismo non deve morire mai. Ma andrebbe affiancato da qualche iniziativa un po’ più concreta e attuale, che incida sulla vita, i problemi e la percezione delle persone. Beccano un drappello dei tuoi sul libro paga del Qatar o nella veste insolita di vu cumprà dei marocchini? Si parla di altri 60 eurodeputati coinvolti? In attesa di capirne di più nei prossimi giorni, visto che non ci hai capito nulla finora, fai qualcosa. Presenta una legge contro il lobbismo selvaggio, che vieti agli eletti di prendere soldi in aggiunta al loro lauto stipendio pubblico, meno che mai da Stati esteri (anche se fatturati), e affidi un’anagrafe patrimoniale a un’autorità terza che controlli proprietà e conti bancari di chi è tenuto a più trasparenza e a meno privacy dei cittadini comuni. Insomma, fai qualcosa: non dico di sinistra, per carità, ma qualcosa. Invece Pd&C. sono inebetiti, a rimorchio degli eventi, in attesa della prossima retata. Un tempo, quando finivano nei guai, i partiti avevano la prontezza di dare una risposta agli elettori. Certo, era pura ipocrisia: quella cosa definita da La Rochefoucauld “la tassa che il vizio paga alla virtù”. Ma oggi si evade pure quella.
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Fateci ridere – Il Fatto Quotidiano
L’idea forzista di una commissione parlamentare su Tangentopoli, che poi sarebbe su Mani Pulite (sui pm, non sui ladri: mica sono scemi), è spiritosissima. Un po’ come un programma mattutino di La7, che ieri s’intitolava “Non c’è più la corruzione di una volta” e ospitava Cirino Pomicino, in rappresentanza dei corrotti di una volta. Quindi siamo favorevolissimi. Non tanto per la suspense sul verdetto (che sarà brevissimo, tacitiano: “Rubavano”). Ma perché sarà l’occasione per ricordare la Lega che agitava cappi in aula; i missini (ora in FdI e FI) che assediavano la Camera urlando “arrendetevi, siete circondati”; sfilavano in piazza con la sinistra extra-partiti contro i “ladri”; e tuonavano contro i “Salvaladri”, mentre oggi li fabbricano in proprio. E chiamano ladri solo quelli di sinistra (non indagati come Soumahoro o arrestati come Panzeri, non importa: sono “garantisti”). Intanto la Cassazione condanna a 6 anni il forzista Antonio D’Alì, ennesimo complice della mafia portato e riportato in Senato dalla destra, che però non ne parla: disturberebbe le lezioni di “questione morale” alla sinistra.
La Commissione più pazza del mondo potrebbe anche costringere i partiti a dire cosa farebbero se un pm italiano pedinasse, intercettasse, perquisisse e arrestasse un parlamentare italiano, poi si presentasse in Parlamento a sigillare uffici e portar via carte, pc e telefonini. Come il pm di Bruxelles al Parlamento europeo. Il 2 febbraio 1993 un colonnello della Finanza inviato dal pool di Milano si presentò a Montecitorio per chiedere copia dei bilanci del Psi (documenti pubblici lì depositati), ma il presidente della Camera Napolitano lo fece mettere alla porta. E tutti i partiti, tranne Msi e Lega, strillarono allo “schiaffo al Parlamento” e all’“attentato alle istituzioni”. Nel 1995, indagando su tangenti e infiltrazioni camorristiche nei cantieri Tav, il procuratore di Napoli Agostino Cordova infiltrò nell’ambiente un colonnello del Ros, che si spacciava per munifico funzionario Tav (l’“ingegner Varricchio”), trovando ampia udienza e festosa fra camorristi e politici di destra, centro e sinistra. Quando scattarono gli arresti, in Parlamento si diffuse la fake news che l’ufficiale aveva profanato il sacro suolo della Camera (falso: gli incontri avvenivano al bar Giolitti). I pidiessini Folena, Violante, Mussi e Soda stigmatizzarono “l’attività di agenti provocatori oltre ogni limite di tolleranza”. Rispose il comandante generale dell’Arma Luigi Federici: ”Macché agente provocatore, il nostro è un normale infiltrato: qui gli unici provocati siamo noi, provocati da un mondo criminale che non riusciamo a battere, costituito da faccendieri, sottoposti politici e camorristi”. C’è del marcio, in Belgio.
Sorgente: Fateci ridere – Il Fatto Quotidiano
Furti a fin di bene – Il Fatto Quotidiano
Ora che finalmente la sinistra riparla di questione morale, nessuno sa più cosa sia. C’è chi la confonde con quella penale, che ne è solo una mini-porzione. E chi la scambia per moralismo, o giustizialismo, o populismo, o pauperismo. Eppure la spiega in due righe l’articolo 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Nella famosa intervista del 1981 a Scalfari, Berlinguer non parlava di tangenti, ma dell’occupazione partitocratica di tutti i gangli della società per arraffare soldi pubblici. Una lezione di senso dello Stato e di rispetto sacrale per il denaro dei cittadini. Poi Tangentopoli si mangiò i partiti di governo e fece impazzire l’unico – il Pci-Pds- Ds- Pd – sopravvissuto all’ecatombe (non per innocenza, ma per la tenuta stagna di Greganti&C.). Anziché far pulizia di uomini e idee, imboccò la scorciatoia più comoda ed esiziale: i suoi erano meno ladri degli altri. Rubavano per il partito (bella consolazione: un partito che si regge sui furti). E rubavano meno di Craxi e B..
L’autoassoluzione della sinistra affarista si saldò con l’impunitarismo berlusconiano. Il centrosinistra non abolì una sola legge-vergogna di B. (lo fece poi il vituperato Bonafede). Ogni suo scandalo fu archiviato, nel migliore dei casi, con un’alzata di spalle e, nel peggiore, con campagne forsennate anti-giudici (la Forleo, per aver intercettato i furbetti del quartierino e i loro compari dell’Unipol e di Ds, fu linciata per mesi). I “compagni che sbagliano” lavoravano comunque per la Causa, anzi per la “Ditta”: le coop rosse, le banche e le assicurazioni amiche, il sindacato, le municipalizzate e gli altri posti pubblici per sistemare i trombati, l’accoglienza dei migranti. I quali – spiegò Salvatore Buzzi, intercettato – “rendono più della droga”. Ne sa qualcosa Mimmo Lucano che, a furia di accoglierli a Riace, iniziò a confondere i fondi statali per i migranti col bilancio familiare e divenne il Cetto La Qualunque della sinistra (i viaggi della vorace compagna, la scuola della figlia, la bella vita della sua cricca). Ne sanno qualcosa Soumahoro e signore. Tutti circondati dall’affettuosa indulgenza del “poverino, non è come quelli di destra: lui l’ha fatto a fin di bene”. Ci si scorda persino di chiedere alla Cirinnà da dove vengono i 24 mila euro nella cuccia del cane, perché è tanto brava e ha fatto le unioni civili. Poi un giorno, dopo nove mesi passati a cercare qualcuno pagato da Putin e tre settimane a tuonare contro il tetto al contante della Meloni, arriva un pm belga e trova l’ex segretario della Camera del Lavoro di Milano con le banconote che gli escono pure dalle orecchie. Soldi pubblici? Sì, ma del Qatar. E tutti cadono dal pero. Anzi, dal tetto.